E’ ormai senso comune da parte degli urbanisti e ambientalisti, che la città diffusa di tipo occidentale, le metropoli nord americane e le megalopoli del sud del mondo siano diventate un vero disastro sociale ed ecologico.
Il modello di città italiane benché stemperato dalla stratificazione storica ancora ben visibile nei centri città, è ormai dettato dalla speculazione edilizia più che dalla pianificazione pubblica.
Lungo le maglie di una rete che collega i nodi del potere economico e finanziario, si estende una città territorio senza qualità. Una città esplosa, composta di frammenti d’architettura e di disegno urbanistico, sommersi da una marea urbana.
Domina la scelta di semplificazione che riduce la complessità, la ricchezza di significato e senso, a modello unico standardizzato, incapace, quindi, di accogliere le differenze, di consentire dialogo e relazione tra loro.
Nelle sue forme istituzionali l’urbanistica non sembra in grado di capire e tanto meno di affrontare la grandezza del disastro, e le amministrazioni comunali non governano più le trasformazioni, avendo legittimato culturalmente la mercificazione globale dello spazio urbano. Non vogliamo negare le grandi difficoltà in cui le amministrazioni si sono trovate in questi anni in termini di risorse e strumenti, pensiamo tuttavia che le difficoltà non possano giustificare la rinuncia al ruolo di governo del territorio e richiedano invece uno sforzo, un impegno di rigore e di creatività per affermare il valore prioritario della salvaguardia dell’interesse collettivo, che implica, a nostro avviso, giustizia sociale e democrazia reale.
Il modo in cui concretamente vive e si trasforma una città, ha molto a che fare con la vita quotidiana di chi la abita, con le sue difficoltà e le sue speranze e l’urbanistica non può essere affare di pochi, è questione di tutti: i recenti conflitti praticati da cittadini che difendono il loro territorio da operazioni inutili e dannose pongono esigenze e istanze che meritano di essere ascoltate, non solo nel loro contenuto, ma anche perché restituiscono qualche speranza di un ritorno ad un’urbanistica condivisa.
Periferie dentro, titolo del programma di sensibilizzazione dell’Osservatorio delle trasformazioni urbane per il 2008, ha cercato di porre l’accento sul declino della città, sempre più indifferenziata, banale e priva di qualità. Gli esiti disastrosi dell’urbanistica contrattata pongono anche la questione etica della responsabilità, e non intendiamo parlare di comportamenti corretti da un punto di vista legale, quanto della capacità di assumere scelte dettate non dalla pura necessità contingente, ma dalla preoccupazione e dalla cura delle conseguenze sull’oggi e sulle generazioni future.
A Livorno purtroppo prosegue la cementificazione senza qualità, senza che si riesca a creare un fronte d’opposizione efficace per cambiare la città.
Dopo l’impatto terribile del Ponte di Santa Trinità, ci viene prospettata la trasformazione in albergo del silos che incombe sulla Fortezza Vecchia benché appaia evidente la necessità di una sostituzione con un’architettura più rispettosa del capolavoro mediceo.
Abbiano già detto che si sono perse troppe occasioni per rimediare allo scempio delle Terme del Corallo, ultima quella della Porta a Terra, la cui pianificazione poteva includere il recupero di quest’importante area storica. Si è proceduto nella demolizione del cinema Odeon, (e troppo tardi si sono levate le voci degli Sgarbi di turno) nonostante l’opposizione di settori sociali giovanili, impegnati contro la desertificazione del centro.
Di più, s’insiste ancora ad alienare altri spazi pubblici ed a costruire su piazze e pratini come in Viale Caprera e Piazza del Luogo Pio. La proposta di spostare l’ospedale di Livorno, dopo il decentramento in zone inospitali e mal servite del catasto urbano e degli uffici finanziari, non ha altro logica che quella della speculazione edilizia. Il cattivo funzionamento dell’ospedale ha poco a che fare con la struttura e molto invece con la cattiva sanità.
Del resto l’area è talmente vasta da consentire qualsiasi modifica funzionale, e sulla sua riqualificazione sono già stati spesi milioni d’euro.
L’operazione Porta a Mare si sta concludendo sotto gli occhi dei livornesi in piena evidenza con la costruzione dei nuovi edifici nell’area dell’ex cantiere, ormai quasi ultimati. E’ evidente come tutto ciò abbia molto a che fare con la monetizzazione di un’area ex industriale ad esclusivo vantaggio d’imprenditori del mattone, senza alcuna contropartita pubblica, e pochissimo con la trasformazione del bellissimo porto mediceo in porto turistico (che poteva essere per la sua grande capacità ricettiva e posizione uno dei più importanti a livello del mediterraneo).
Niente porto dunque, al massimo un parcheggio di barche, come dimostrano le recenti proposte di rilancio del porticciolo privato il Marina, che viene riproposto con qualche modifica marginale, a distanza di vent’anni.
Tragicamente il vecchio piano si chiude con le delibere di cementificazione del progettato ex parco del Nuovo Centro, ennesima vergognosa speculazione edilizia, avendo ormai consumato tutte le aree edificabili, al di fuori d’ogni pubblica utilità.
Bisogna rifondare l’urbanistica chiudendo ogni ulteriore ipotesi di cessione di spazi pubblici e collettivi, iniziando un opera di lungimirante acquisizione d’aree, che si sono rese disponibili, dall’ex caserme alle stazioni ferroviarie dismesse, progettare una città ecologicamente e socialmente sostenibile.
Avere affidato al mercato la creazione delle nuove piazze ipermercato, luoghi chiusi, claustrofobi e alienanti, in sostituzione degli storici spazi di socializzazione, le strade e le piazze invase dal traffico, invece di proporre centri civici e sociali per ritrovare il senso della collettività, rappresenta la deriva più evidente del progetto urbano e le tristi sorti dell’urbanistica moderna.
Il sindaco di Livorno ha parlato della esigenza di un nuovo Piano Regolatore della città: ma per regolare quale genere di città? È possibile aprire un confronto, un reale coinvolgimento su quale futuro pensiamo per il nostro territorio e per il nostro tessuto sociale? E per disegnare il futuro, non sarebbe opportuno ripensare, con spregiudicatezza e senza remore, a che cosa hanno prodotto e quali effetti hanno determinato i piani precedenti? Ricostruire esperienze di pianificazione partecipata insieme ad una rinnovata centralità delle istituzioni pubbliche nel governo del territorio è l’impegno e la concreta utopia dell’osservatorio, che invita tutta la cittadinanza, a cominciare della rete delle associazioni attive sul territorio a proseguire il confronto per contrastare la mercificazione della città.
Nonostante i pesantissimi danni culturali economici e sociali che l’ennesima crisi senza sbocco del capitalismo del XX secolo ha prodotto nel mondo con le sue guerre devastanti e le crociate neo-corservatrici, si intravedono elementi di cambiamento d’opinione (l’america d’Obama) e si estendono sacche di ribellione dentro la società e i territori (il movimento di studenti e insegnanti che stanno provando a riconquistare il futuro).
Mentre è anche troppo evidente la pesante crisi involutiva delle forze politiche che in qualche modo rappresentano ciò che resta della sinistra alternativa, anche l’effervescenza d’iniziative del movimento spesso copre un vuoto di proposta complessiva.
Pertanto ci sembra urgente aprire con la rete delle associazioni e dei comitati livornesi (a cominciare dal tavolo della partecipazione) la discussione intorno ai lineamenti di un progetto condiviso di città aperta e ospitale socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Forse si potrebbe partire dall’urbanistica partecipata per approdare ad una politica partecipata, che riconsegni ad una nuova e non piccola minoranza di cittadini, stanchi di stupidità e di campagne d’odio e sicurezza, la voglia di tornare a costruirsi una rappresentanza anche istituzionale con un progetto d’umanità e di mondo alternativo, e una proposta concreta di governo del territorio da proporre alla città.
Livorno 16 dicembre 2008
giovedì 29 ottobre 2009
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