È esperienza di ciascuno/a di noi essersi trovati, almeno una volta, a confrontarsi con qualcuno che, invece di stare sul terreno del confronto, parla d’altro. Così spesso ci siamo sentiti come Osservatorio Trasformazioni Urbane in questi mesi di dibattito sulla localizzazione del “nuovo ospedale”. Appunto di localizzazione parlavamo come O.T.U., criticando le scelta dell’area di Montenero basso, nel merito e nel metodo adottato per la sua individuazione.
Eravamo e siamo ancora molto preoccupati del fatto che a Livorno si compiano scelte di intervento sul tessuto urbano al di fuori di un chiaro e partecipato disegno urbanistico. Nel caso del “nuovo ospedale” non si tratta soltanto di un intervento “pesante” in una zona delicata del territorio, tra l’altro senza alcuna garanzia di disporre di risorse sufficienti per le infrastrutture viarie, si tratta anche di ipotecare il futuro di aree ed edifici di pregio, come l’area di viale Alfieri e la villa Rodocanacchi, la cui vendita sul mercato è indispensabile per recuperare parte delle risorse necessarie per la costruzione di un nuovo presidio ospedaliero. E si tratta di una vendita di patrimonio pubblico che, per essere appetibile sul mercato, dovrà essere “valorizzato”, cioè avere una destinazione urbanistica che renda l’investimento, per i privati, “conveniente”.
Abbiamo qualche dubbio sul fatto che una operazione di questo tipo possa ascriversi al “..concetto di utilizzare le opere pubbliche come movimentazione dell’economia cittadina” ( A. Cosimi: Intervento sui risultati del referendum).
Di fronte a queste preoccupazioni ci è stato più volte risposto che la posta in gioco è una sanità più moderna ed efficace, come se la qualità delle prestazioni dipendesse quasi esclusivamente dal contenitore entro cui si svolgono e come se chi è contrario alla localizzazione deliberata dalla amministrazione comunale non avesse a cuore la salute ed il benessere degli abitanti di questa città.
Non è così: pensiamo che per rispondere ad una giusta esigenza non ci sia una unica strada, quella individuata dalla Amministrazione e pensiamo anche che quando si assumono scelte caricandole dei caratteri di “emergenza” non si fa mai una operazione di respiro lungo, capace di guardare al di là del qui e ora.
Prendiamo atto con piacere che il Sindaco ha riconosciuto la necessità di individuare nuove forme di partecipazione. E tuttavia, proprio per la difficoltà di comunicazione già registrata, pensiamo si debba anche esplicitare il significato che si attribuisce al termine partecipazione.
Una qualche perplessità ci è sorta quando abbiamo ascoltato dal Sindaco una interpretazione del fenomeno astensione come “mandato di governare il problema all’Amministrazione comunale”: forse sui temi del rapporto governanti/governati, eletti/elettori/ ,democrazia rappresentativa/democrazia reale, affezione/disaffezione al voto sarebbe necessaria una analisi un pochino più raffinata. Ed ancora un’altra perplessità è sorta in noi quando , sempre il Sindaco, parlando dei ventimila cittadini che hanno votato per una diversa localizzazione ha affermato di ritenere “che sia giusto e normale avere un’interlocuzione, cercare di convincere tutti..” della bontà della scelta della Amministrazione.
Ma un confronto fertile non è quello in cui un interlocutore convince l’altro, bensì quello in cui si ha la capacità di individuare una terza via. Questo lo insegnano i veri professionisti della partecipazione, cioè coloro che hanno saperi e competenze per operare come facilitatori dei processi partecipativi.
Osservatorio Trasformazioni Urbane
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